A cura di MDC Lazio,

La continua espansione delle pratiche e delle attività legate al digitale innesca non solo la modernizzazione delle attività che ogni individuo conduce, ma anche una sorta di competizione sullo stato di digitalizzazione che le differenti società raggiungono gradualmente. Questa stessa competizione è pesata dall’Unione europea che dal 2014 misura i progressi compiuti dai suoi Stati membri nel settore del digitale attraverso il così detto DESI, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società. Il DESI compila una classifica degli Stati membri in base al loro livello di digitalizzazione e ne analizza il progresso relativo nell’arco degli ultimi cinque anni, tenendo conto del rispettivo punto di partenza. Questo particolare strumento è utile alla Commissione per monitorare e allineare i Paesi al suo programma strategico “Percorso per il decennio digitale“, una strategia basata su quattro punti cardinali per assicurare un equo e sano sviluppo delle pratiche digitali per ognuno dei cittadini europei.

L’Unione, persuasa dall’idea che società e tecnologie digitali siano una potente opportunità per imparare, intrattenere, lavorare e realizzare nuove ambizioni, riconosce nella digitalizzazione anche una preziosa risorsa per conquistare nuove libertà e diritti, offrendo ai singoli l’opportunità di andare oltre le comunità fisiche, le posizioni geografiche e le posizioni sociali. Si propone così, entro il 2030, di raggiungere quattro obiettivi prioritari per una popolazione digitalmente qualificata e professionisti digitali altamente qualificati; infrastrutture digitali sicure e sostenibili; trasformazione digitale delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici. È un percorso ambizioso quello dell’Unione, ma motivato dalla convinzione che, “anche ai fini della transizione verso un’economia a impatto climatico zero, circolare e resiliente, conseguire la sovranità digitale in un mondo aperto e interconnesso conferisce ai cittadini e alle imprese l’autonomia e la responsabilità necessarie per costruire un futuro digitale antropocentrico, sostenibile e più prospero”. Lungo il decennio dunque, l’Unione si impegna ad affrontare la principale sfida comune: il divario digitale tra i suoi Paesi membri.

IL PERCORSO DELL’ITALIA DIGITALE

Ad oggi, l’Italia percorre una strada fatta di luci e ombre: l’edizione 2022 del DESI colloca l’Italia al 18º posto fra i 27 Stati membri dell’UE, ma con ampi margini di miglioramento rispetto al passato. In quanto terza economia del sistema europeo, la rilevanza dei progressi italiani nel percorso di digitalizzazione dell’Unione è cruciale per consentire all’intera UE di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030; nonostante i consistenti progressi raggiunti negli ultimi cinque anni, la trasformazione digitale sconta ancora varie carenze cui è necessario porre rimedio. È la stessa politica italiana a riconoscere la necessità di sviluppare misure volte a potenziare il sistema digitale, tra le quali l’istituzione di un Ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale e l’adozione di varie strategie chiave. Nell’ottica dell’attuazione del PNRR, il Paese dispone sia dei fondi necessari allo sviluppo sia di una robusta base industriale e di comunità di ricerca in settori chiave come l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica. Secondo lo stesso DESI, questi punti di forza si potrebbero sfruttare per dispiegare il digitale in tutti i settori dell’economia e dello sviluppo sociale, sotto la guida dei designati principi digitali. L’Italia decide dunque di investire su sé stessa elaborando la Strategia Italia 2026 e il corollario Piano Operativo che insieme ambiscono a realizzare la così detta Repubblica Digitale, restituendo una risposta organica e complessiva sul tema delle competenze digitali. Quattro sono gli assi d’intervento chiave sui quali i Ministeri competenti, in concerto tra loro, agiscono per raggiungere gli obiettivi: Istruzione e Formazione Superiore, per lo sviluppo delle competenze digitali all’interno dei cicli d’istruzione formale per i giovani; Forza lavoro attiva, per garantire competenze digitali adeguate sia nel settore privato che nel settore pubblico; Competenze specialistiche ICT, per potenziare la capacità del Paese di sviluppare competenze per nuovi mercati e nuovi lavori legati alle tecnologie emergenti e al possesso delle competenze chiave per i lavori del futuro; ed infine Cittadini, per sviluppare le competenze digitali necessarie a esercitare i diritti di cittadinanza e la partecipazione consapevole alla vita democratica. Il piano e gli obiettivi italiani sono ambiziosi e potenzialmente “rivoluzionari”, se si considera come i persistenti gap in ambito di competenze, accesso e connettività limitino ancora il Paese ai posti inferiori della classifica europea. Nella continua ed accelerata corsa alla digitalizzazione infatti è opportuno mantenere viva l’attenzione non solo sul raggiungimento dei progressi tecnici e tecnologici, ma anche e sinergicamente sulle possibilità e capacità dei cittadini e degli utenti di “stare al passo”. Guidata dai sei principi digitali (Persone e Diritti al centro della trasformazione digitale, Solidarietà e Inclusione, Libertà di Scelta online, Partecipazione allo spazio pubblico digitale, Sicurezza, Protezione ed Empowerment delle persone ed infine Sostenibilità del futuro digitale), l’Italia può percorrere una strada equilibrata e consapevole, beneficiando concretamente degli strumenti per migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini.

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